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lunedì 1 febbraio 2021

MEDIACOM MSB-130 cerniere indurite e contenitore rotto (soluzione nerd)

Non è stato per niente facile ma, quando mi intestardisco a fare una cosa, difficilmente demordo. E non mi importa nulla se il solito maligno bollerà questa realizzazione come "cosa da nerd" o da demente pazzoide. Del resto, agli insulti in rete ci sono ormai abituato tanto da averci fatto il callo. Per me le critiche scivolano via come l'acqua su una superficie idrorepellente... sono super idrofobico ed autopulente. 

Del problema delle cerniere indurite che spaccano i contenitori di plastichetta di certi computers mal progettati e spacciati per pochi euro ai tossici unani come prodotti meravigliosi nei negozi di elettronica, ne ho già parlato a lungo. 

Ho descritto anche come riparare le cerniere e renderle operative, elencando i vari metodi ad oggi utilizzati dai riparatori più ingegnosi. Nell'ultimo scritto, avevo paventato una soluzione extrema ratio, nel caso la riparazione precedente non avesse sortito gli effetti desiderati. Già, incollare la plastichetta fragile come carta velina, garantisce risultati deludenti, nonostante se ne usi una quantità industriale. E' come pretendere di usare il burro di noccioline al posto dell'intonaco o lo zucchero caramellato per sostenere il peso di una lavatrice. 

Ed ecco che la mia testardaggine mi suggerisce di creare un rinforzo eterno. Il ragionamento è semplice... se la plastica non tiene e le cerniere sono attaccate alla plastica, è sufficiente sostituire la plastica con un materiale più idoneo ed attaccarci lì le cerniere. Sembra semplice ma non lo è per niente. Una serie di problemi sono di ostacolo, sia che si decida di usare il metallo che il legno:

  • mancano macchinari adatti
  • mancano attrezzi per sagomare i materiali
  • manca una stampante 3D
  • mancano i materiali 
  • mancano i soldi per acquistarli
  • mancano i soldi per acquistare un portatile nuovo

ed allora? ci si arrangia come da italica tradizione e virtù (che solo noi al moooondo sappiamo come). 

Per i materiali si prende quello che si ha sotto mano, accumulato come ciarpame inutile in anni ed anni di recuperi e riutilizzi. Meglio delle tavolette di legno da 1 centimetro, dove le viti possono mordere. Lamiere di alluminio? ok, ma poi bisogna prevedere viti con testa svasata e dadi.

Per i macchinari ci si arrangia, adattando le scelte progettuali in base a quel poco che si ha. Per la manualità, la fantasia, l'ingegno... nessun problema, almeno queste cose ce l'ho... o almeno ho la presunzione di averle, altrimenti...

Allora... andiamo con ordine.

prototipo 1: Ideona... rinforzo i due lati di plastica con dei profili metallici. Ho preso una barretta ad "L" di ottone, l'ho tagliata in 4 pezzi ciascuno a misura del lato del portatile. L'ho incerniata con dei rivetti pensando di incollarla con l'epossidica bi-componente, in modo da dare supporto al coperchio, non senza creare de gli incavi per l'inserimento, ai lati, di chiavette, schedine di memoria, cavo di alimentazione e via dicendo. SOLUZIONE FALLIMENTARE. La sagoma del coperchio è incurvata ed il profilo ad "L" non riesce a prenderla in modo accettabile. Inoltre i rivetti sono in posizione inevitabilmente decentrata rispetto alle cerniere esistenti, rendendo impossibile alla fine aprire il portatile. 

prototipo 2: Ideona... rinforzo il coperchi e la base con dei pannelli incernierati. Non mi scoraggio ed uso due pannelli di legno tenero (pino...orrore!! peraltro già tarlati). Scavo con la fresa un incavo per ospitare coperchio e base, in modo da diminuire il più possibile lo spessore finale. L'idea era quella di creare due "conchiglie" di supporto all'interno delle quali incollare coperchio e base.  SOLUZIONE FALLIMENTARE (che nemmeno merita una foto). I pannelli sono troppo spessi e fresare l'interno a mano seguendo le curvature del contenitore originale è quasi impossibile. Mettere poi delle cerniere da mobili, esterne, non è fattibile, occorrerebbe indurirle in qualche modo per sostenere il peso.

prototipo 3: Ideona... dai che quasi ci siamo. Due pannelli in MDF (recuperati dalla base di un tapis roulant). Elimino completamente la base plastica del portatile. La tastiera è incorporata nella parte superiore della base e mi tocca tenerla così com'è, dato che alloggia anche batteria, mother board, altoparlanti, antenne, touchpad, ecc.... Lo schermo...preferisco tenere il coperchio originale (l'LCD è fragile). Il contenitore della base lo modifico per bene, aprendo dove serve e ci pratico dei fori per fissarlo, da sopra, al pannello di MDF con delle viti autofilettanti. Le cerniere le stacco del tutto dal contenitore originale e le attacco ai due pannelli di MDF...all'interno... ma qui sorge un problema. Occorre posizionarle il più possibile dov'erano originariamente. Questo per evitare che i due nuovi coperchi si allontanino troppo all'apertura, rischiando di tirare eccessivamente il cavo dello schermo LCD. Bisogna quindi andare per tentativi, misure, aggiustamenti, montaggi e smontaggi, praticando i fori solo a posizionamento terminato. 

Poi occorre costruire dei distanziali che posizionino il coperchio alla distanza esatta pari allo spessore del portatile chiuso, badando bene che alla chiusura la testa delle nuove viti non vada a cozzare contro la plastica o peggio contro lo schermo LCD. Per i distanziali è sufficiente tagliare un tubicino di alluminio da pochi millimetri a misura giusta... misura giusta... richiede tanti tentativi ed un mini tagliatubi, altrimenti diventa troppo difficile (e non pensiamo di comperare delle rondelle che bisogna comperare sempre la confezione da cento destinate ad arrugginire nel cassetto). 

Poi occorre fare dei buchi dove si può, senza interferire con i circuiti, i cavetti e le basette elettroniche interne. Si praticano i fori da dentro, poi si ribalta la tastiera e si riportano i fori sull'MDF, usando delle mini viti di recupero autofilettanti, et voilà. SUCCESSO!! alla fine, a forza di smadonnamenti in aramaico, i due pannelli si chiudono, proteggendo schermo, tastiera, batteria e mother board come mai prima. Sono certo che con questa soluzione, se il portatile cade a terra non si fa nulla. Certo ci sono dei margini di miglioramento (moltissimi) ma con quello che ho, questo è quello che sono riuscito a fare nei ritagli di tempo.

Ora, tocca ai dettagli da curare a tempo morto. Per prima cosa vorrei smontare nuovamente il tutto e smussare un pò gli spigoli, per dare una forma finale più affusolata ed esteticamente più accettabile, specie dopo un eventuale riverniciata. Non sarebbe male trovare il modo di creare un bordo tutto attorno per nascondere l'evidente accoppiamento plastica/legno ma è solo un problema estetico. Sto anche cercando un vinile adesivo, effetto fibra di carbonio, ma non so dove recuperarlo senza doverlo acquistare. Vabbè, tanto con questo portatile mica ci devo andare in giro a clienti. Alla fin fine, mi basta che si apra e chiuda e soprattutto che lo schermo LCD resti in posizione aperta quando ci lavoro.

Ad ogni modo, intervenire all'interno per eventuali riparazioni, sostituzioni od installazione di un unità SSD è facilissimo, basta svitare 4 viti e ribaltare la tastiera che verrà su assieme a batteria e mother board. Meglio di prima sicuramente. Nello smontaggio mi sono perso una calamitina che serviva a tenere chiuso le due valve... spero che le tre rimanenti riescano a garantire una buona attrazione. 

Ed ora la domandona finale dell'unano invidioso: maaa... valeva la pena di perdere tempo su questo ciòttolo immondo? per di più con winzozz 10!!? il fatto è che vorrei utilizzarlo per un applicazione dedicata, che purtroppo richiede un software che su linux non esiste proprio, nemmeno ad emularlo con wine, per cui... tocca tenerlo. Del resto ci ho speso dei soldi per recuperarlo e la regola aurea impone: niente sprechi! Lo sciopero della spesa fa il resto. Alla prossima. 

P.S. l'ontano le foglie cadono. Ripeto: l'ontano le foglie cadono.


martedì 29 ottobre 2019

Binary switch

Un interruttore rotativo, ad uscita binaria con 1 cifra, recuperato non mi ricordo proprio da dove, forse da qualche vecchissimo apparato di rete. Forse serviva per individuare l'hardware in un contesto ove potevano coesisterne di uguali ed occorreva distinguerli. Il bello è che non mi viene in mente dove riutilizzarlo, ma sicuramente troverà posto in qualche esperimento. 
E' un componente con 5 terminali ad innesto, una finestrella che visualizza un numero e due pulsantini che fanno scorrere avanti ed indietro il numero, da zero a nove. Per capire la disposizione dei pin, basta provare con un tester in modalità beep, i contatti uno contro tutti. Dalla tabella di corrispondenza che si ricava è facile intuire che il primo pin è quello comune, dove andrà collegata l'alimentazione, mentre gli altri sono connessi o meno, a seconda della cifra visualizzata, con una sequenza binaria di "zeri ed uni" da 0000 a 0101 (da 0 a 9).
Figata. Sicuramente all'interno c'è una rotellina (una basetta stampata con delle piazzole opportunamente disegnate) e delle spazzole a striscio, semplice. 
Mettiamo da parte anche questo e passiamo oltre. Alla prossima.

PS. La luna piena scalda la minestra. Ripeto: La luna piena scalda la minestra.

giovedì 7 settembre 2017

Recupero dati da chiavetta USB (parte 1 Teoria)

Sto impazzendo con una chiavetta USB che non riesco ad utilizzare e che credo contenga i piani per distruggere le cose brutte del pianeta in modo selettivo, lasciano intatte le cose e le persone buone... devo riuscire a recuperare quei dati.
All'inserimento del sistema, la chiavetta viene riconosciuta 

[32117.874393] usb 2-1.1: new high-speed USB device number 13 using ehci-pci
[32117.983147] usb 2-1.1: New USB device found, idVendor=0420, idProduct=1307
[32117.983151] usb 2-1.1: New USB device strings: Mfr=0, Product=0, SerialNumber=0
[32117.983694] usb-storage 2-1.1:1.0: USB Mass Storage device detected
[32117.984042] scsi host6: usb-storage 2-1.1:1.0
[32118.995798] scsi 6:0:0:0: Direct-Access     ChipsBnk Flash Disk       5.00 PQ: 0 ANSI: 2
[32118.996783] sd 6:0:0:0: Attached scsi generic sg1 type 0
[32118.997298] sd 6:0:0:0: [sdb] 16384 512-byte logical blocks: (8.39 MB/8.00 MiB)
[32118.997945] sd 6:0:0:0: [sdb] Write Protect is off
[32118.997947] sd 6:0:0:0: [sdb] Mode Sense: 0b 00 00 08
[32118.998550] sd 6:0:0:0: [sdb] No Caching mode page found
[32118.998554] sd 6:0:0:0: [sdb] Assuming drive cache: write through
[32119.005963] sd 6:0:0:0: [sdb] Attached SCSI removable disk

ma sembra non contenga alcuna partizione dati. 

Il led rosso lampeggia per restare poi a luce fissa, segno che il controller, almeno apparentemente funziona. Dopo il riconoscimento escono degli errori di sistema 

[ 6767.472661] usb 2-1.1: reset high-speed USB device number 8 using ehci-pci

Di montare una partizione inesistente nemmeno a parlarne. cfdisk ed Fdisk non sembrano riconoscere l'unità. Creo una partizione e perdo i dati nel chip? no, la partizione non si riesce a crearla. 

Device does not contain a recognized partition table.
Created a new DOS disklabel with disk identifier 0x80b29bcd.

Formattare?.... no, ci ho provato e non si riesce a formattare

A questo punto ho due opzioni:
1) invio la chiavetta a chi si occupa di recupero dati e vediamo cosa succede
2) mi arrangio con la misera attrezzatura a disposizione e risparmio qualche euro (che comunque non ho)
Sorge quindi un problema: cosa potrebbe avere di guasto? Proviamo a ragionarci un pò su ed analizzare le possibili cause
La chiavetta è costruita con pochi componenti. Principalmente un controller ed un chip di memoria NAND flash. Oltre ad una manciata di resistenze e condensatori c'è un quarzo oscillatore da 12 mhz.
Il controller è un CBM2091 della Chip Bank Microelectronics un TQFP (Thin Quad Flat Package) 7x7 mm e spesso 1mm (abbastanza diffuso e credo facilmente reperibile) 
Il Nand Flash Memory chip è uno Specteck FBNL52AHGK3WG da 8 Gb TSOP Type 1 (Thin Small Outline Package) a 48 pin, anche questo di "relativamente facile" reperibilità (sempre te ne vendano uno soltanto e convenga pagare le spese di spedizione). 
Ma il malfunzionamento da cosa potrebbe dipendere?

Potrebbe essere il quarzo? Poco probabile. fosse il quarzo che non oscilla la chiavetta non verrebbe nemmeno vista, mentre abbiamo verificato che viene riconosciuta. Scartiamo quindi il quarzo.

Potrebbero essere i pin D+ e D- della USB magari staccati causa inserimenti forzati che hanno sollecitato meccanicamente la chiavetta?? Un ispezione con un microscopio digitale ci conferma che i contatti sul PCB sono a posto, compresi quelli verso la porta USB del PC. 

Potrebbe essere il controller? Probabile. Dal data sheet vediamo che esso contiene due regolatori di tensione che regolano i 5volts (pin 1) dell'USB, uno a 3.3 volts (pin 2) ed uno a 1.8 volts (pin 3), usati per il chip di memoria. Basterebbe verificare se da quei due pin ci sono le tensioni dichiarate ma... stiamo parlando di saldare ai piedini dell'integrato da 0,5mm (davvero inaccessibili senza specifica attrezzatura) dei fili altrettanto sottili con una punta a spillo (skill level 10/10). Altro non mi viene in mente. 

Potrebbe essere il chip di memoria? Probabile. Verificato che è alimentato correttamente dal controller, potrebbe essere il chip guasto o che ha raggiunto il numero massimo di cicli di lettura scrittura. Come verificare? bisognerebbe staccarlo dal PCB, inserirlo in un lettore di flash ram per esserne sicuri (lettore che per ora non ho) e verificare se leggibile.

Poi dipende: vogliamo davvero recuperare i dati eventualmente presenti o vogliamo riparare la chiavetta? entrambe le ipotesi  richiedono due approcci diversi. Per recuperare i dati (almeno tentare, se recuperabili) occorre staccare il flash chip e: o inserirlo in un lettore oppure provare a saldarlo su una chiavetta gemella (praticamente introvabile). Altrimenti, per riparare, appurato se il controller funziona o meno, occorre sostituire i chip sperando di trovarli e sperando che il costo del materiale non superi il valore di una chiavetta da 8 giga. Al limite si potrebbe verificare se i chip da 16 o 64 abbiano la stessa piedinatura ed aumentare così la memoria disponibile. Mettiamo in conto anche il valore "emotivo" di una riparazione difficilissima.... priceless.  
Vedremo. Alla prossima

P.S. il gobbo sgobba. Ripeto: il gobbo sgobba. 

giovedì 10 novembre 2016

Tablet Blank screen (parte 2)

Alla fine, dopo le disavventure già spiegate, ce l'ho fatta. Un Tablet Lazer AN10G2-LZ modello A101C FCCID SOVA101C (originariamente venduto nella catena Auchan, francese) è diventato un Arnova AN10G2 con firmware originale e soprattutto.... con i permessi di root! 
Come avevo ventilato, ho provato ad aprirlo (solo 6 viti nel retro), per giocare un pò con l'hardware... dentro due batterie REC435122P MH45125 da 3000mAh / 11,1 Whr (in parallelo) ed una mother board protetta da entrambi i lati da due schermature metalliche saldate al circuito stampato, manco sotto ci fossse un segreto di fatima. Deluso, ho deciso per ora di non staccare le due piastre e rimontare il tutto per tentare ancora di rootarlo (lo so, un mulo in confronto a me è meno testardo). 

Con linux, il comando "lsusb" evidenzia un device ID 2207:290a senza alcuna descrizione testuale (Bus 002 Device 009: ID 2207:290a ). Da una ricerca ho scoperto che il codice 290a corrisponde al processore rockchip RK2918 (utile a volte per scoprire qual'è la ROM adatta da flashare). 
L'uso di un altro script trovato in forma sorgente (rkflashtool.c) e compilato senza errori (occhio che nesistono almeno due fork disponibili) mi ha permesso di estrarre il contenuto della NAND Flash e scoprire così molte cose utili, tipo le varie partizioni Android:  misc, kernel, boot, recovery, system, backup, cache, userdata, kpanic e user, con tanto di size ed offset, tutte porzioni interessanti a livello di analisi forense a basso livello. 
Per mettere il tablet in modalità adatta a permettere la lettura/scrittura della memoria flash occorre, da spento e con il cavo usb inserito, premere contemporaneamente vol+ ed il tasto di accensione per almeno 5 secondi... il tablet non si accende ma Linux si accorge che qualcosa è stato collegato (vedi con lsusb mentre con quel sistema che non voglio nominare occorre prima installare i driver specifici). A quel punto si può usare il programma; sudo ./rkflashtool p
e si otterranno le seguenti info:
rkflashtool: info: rkflashtool v3.3
rkflashtool: info: Detected RK2918...
rkflashtool: info: interface claimed
rkflashtool: info: reading parameters at offset 0x00000000
rkflashtool: info: rkcrc: 0x4d524150
rkflashtool: info: size:  0x0000025f
FIRMWARE_VER:0.2.3
MACHINE_MODEL:AN10G2
MACHINE_ID:007
MANUFACTURER:RK29SDK
MAGIC: 0x5041524B
ATAG: 0x60000800
MACHINE: 2929
CHECK_MASK: 0x80
KERNEL_IMG: 0x60408000
#COMBINATION_KEY: 0,6,A,1,0
CMDLINE: console=ttyS1,115200n8n androidboot.console=ttyS1 init=/init initrd=0x62000000,0x500000 mtdparts=rk29xxnand:
0x00002000@0x00002000(misc),
0x00004000@0x00004000(kernel),
0x00002000@0x00008000(boot),
0x00004000@0x0000A000(recovery),
0x00082000@0x0000E000(backup),
0x0003a000@0x00090000(cache),
0x00200000@0x000ca000(userdata),
0x00002000@0x002ca000(kpanic),
0x00080000@0x002cc000(system),
-@0x0034c000(user)
Il formato usato per le ultime righe è [size]@[offset](nome partizione)
Con le info estratte, sempre usando rkflashtool, si può scrivere o formattare anche una singola partizione alla volta, a mano e senza i fronzoli delle intefacce grafiche che tanto impigriscono i tecnici. Ora mi sto attrezzando per crearmi una ROM personalizzata. Devo solo capire quale SDK usare.  
Cmq, dopo millemila tentativi, alla fine ci sono riuscito, non senza difficoltà, a rootare il tablet. Già, la rete è strapiena di post di sedicenti "esperti" sedicenti "hacker" imprecisi e superficiali, sgrammaticati e pure permalosi, che suggeriscono le cose sbagliate, che non aggiornano i link proposti, che copiano ed incollano i post di altri senza nemmeno leggerli (ma assumendosi la paternità), in perenne delirio da attiraclick a tutti i costi.... onanisti 2.0
Di firmware ne ho provati più di uno, anche per aggiornare la versione di android dalla 2.x alla 4.x. L'unico che ha funzionato è stato quello compattato nel file arn10g2-23-20.zip (ma ora non ricordo da dove l'ho scaricato di preciso). Nel frattempo mi sto divertendo con ADB shell ed altre cose mie...

Che dire...ora mi sento un pò più libero di prima, senza i limiti imposti da una brandizzazione idiota frutto di una politica di marketing idiota, sostenuta dai soliti idioti in giacca e cravatta, maledetti deficienti, psicolesi, capitalisti del caxo. alla prossima

P.S. la raccolta dei cachi è abbondante. Ripeto: la raccolta dei cachi è abbondante.

lunedì 20 giugno 2016

Symbol SE-1200-I000A Barcode Scan engine con Arduino

Ed ecco che stavolta tocca a lui, un modulo di lettura disassemblato da un terminale di rilevamento codici a barre, del quale mi resta solo questo pezzo, il resto è andato nel corso dei periodici riordini del laboratorio per fare spazio a nuovo hardware da studiare e riutilizzare. 
Il modulo di lettura laser è un "cubetto" compatto dal quale esce una piattina flessibile a 8 fili, prodotto dalla Motorola per Symbol, modello della serie SE1200. Mi sono messo in testa di accenderlo e vedere il laser tracciare una riga. L'idea originaria era quella di costruirmi una livella laser ma dopo alcuni esperimenti, trovo didatticamente più interessante giocarci un pò e magari documentare come implementare il modulo con una basetta a microprocessore (tipo Arduino o Raspberry per capirci... che le devo ancora comprare ma prima o poi...). 
Inizialmente pensavo di ricavare e decodificare i segnali seguendo le piste, giusto per capire come alimentarlo ma le difficoltà si sono manifestate sin da subito. Fortuna vuole che in rete c'è un documento del produttore, che spiega in modo molto dettagliato come utilizzarlo. 
Al momento mi manca solo un idea di come implementare il software che decodifica i codici che escono dal modulo sotto forma di barra/spazio, ma... andiamo con ordine, per documentazione, visto che in futuro proverò a fare lo stesso con un modulo simile ma ad alta visibilità (SE1200HV-I000A).
La piattina flessibile è connessa al suo connettore e per estrarla occorre delicatamente far scorrere di poco verso l'esterno la parte in marron scuro che fissa stabilmente i contatti. Il pin numero 1, guardando il modulo con il circuito stampato verso l'alto (girato come in foto), è il primo a sinistra. Nel dubbio, si usa un tester  in modalità prova diodi, collegando il puntale nero sul corpo metallico e con l'altro cercare il pin 1. Nel maneggiare il cubetto occorre sempre fare attenzione in quanto, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il corpo metallico usato come supporto e dissipatore di calore in realtà è connesso ai +5Volts. Per la piedinatira del flat all'altra estremità, occorre fare attenzione perchè un contatto è sdoppiato ed un altro non collegato. 
I segnali del connettore sono così classificati:
  • pin 1 Alimentazione + 5 Volts
  • pin 2 Range limiter. Se posto a massa il range dello scanner è ridotto, mentre se è a +5V o non collegato, funziona alla massima prestazione possibile. Per alcuni modelli questo segnale è trattato leggermente diversamente (ad esempio per tracciare un puntino per individuare l'area che si sta puntando)
  • pin 3 Abilitazione laser. Serve ad accendere il laser quando messo a massa
  • pin 4 Abilitazione scan. Si usa per abilitare la lettura (alimenta i circuiti interni) quando posto a massa.
  • pin 5 Uscita lettura. Tramite una resistenza di pull-up da 10k ohm quando è "alto" (+5Volts) significa che ha letto una barra mentre se "basso" (GND) uno spazio. Per leggere occorre temporizzare per 55 millisecondi dopo l'abilitazione del laser e dello scan.
  • pin 6 Start of scan. Questo non l'ho ancora compreso bene... devo approfondire... meglio riportare la frase originale e sperare che qualcuno nei commenti spieghi cos'è "Provides the start of scan signal to the decoding system. This signal toggles each scan line and is a square wave with a frequency of about 18 Hz."
  • pin 7 ed 8 - Massa


Per accendere il modulo e vedere la linea rossa è sufficiente collegare + 5 volt al pin 1 e mettere a massa i pin 7,8,3 e 4. Funziona!... massacrando la piattina. Io, in mancanza del connettore adeguato all'altro capo, ho massacrato la piattina flessibile ed ho dovuto grattarla con una lametta dopo che i contatti si sono staccati, per effetto del calore, dal kapton. 
Ora la parte più interessante è quella di creare un software (ad esempio per Arduino o Raspberry o qualsiasi altra scheda a microprocessore) che alla pressione di un tasto fa partire il laser abilitando le lettura e poi visualizze da qualche parte il risultato della scansione, una figata. 
A fantasticare, vista la relativa semplicità del modulo, lo si potrebbe usare in catena di montaggio tra la produzione reparto prodotti finiti ed il magazzino o tra magazzino e zona di carico, per leggere i codici e memorizzarli nel database. Oppure inserirlo in qualche piccolo negozio per creare un piano lettura simile a quello che si vede nei supermercati, una figata. Di applicazioni ce ne potrebbero essere altre ed il limite è solo la fantasia. Ma per la livella laser?? Si può fare ma occorre trovare un sistema che tenga in bolla tutto il modulo... un pò complicato, fattibile ma laborioso. Magari lo installo sul trapano a colonna assieme all'altro per tracciare il punto di foratura.  Alla prossima.

P.S. Luca e Piero sono al bar. Ripeto: Luca e Piero sono al bar.

sabato 18 giugno 2016

Q1617-60001 HP scanner motor assembly

Autopsia di un unità motore di uno scanner, disassemblato da una stampante HP PSC1315 All-In-One. Si tratta del motore facente parte dell'unità di trascinamento del sensore CIS di uno scanner passato a miglior vita. La curiosità e l'idea di riutilizzarlo per qualche applicazione robotica, mi hanno spinto a riportarlo in vita, più che altro a scopo "didattico" e per impratichirmi con la realizzazione di esperimenti nell'ottica "impara l'arte e metti da parte". L'unica foto "dettagliata" dell'unità, in rete, sembra essere disponibile a questo indirizzo.
Intanto partiamo da alcune sigle. L'unità motore ha il part code HP Q1617-60001 (fa parte dell'asssembly  Q1647-60256) ed è compatibile con molte stampanti simili a quella da cui proviene. Per una lista completa dei modelli compatibili, basta visitare partsurfer.hp.com, per accorgersi che il pezzo non è venduto al pubblico come parte di ricambio (forse ai centri autorizzati).
Codice motore: FC130SA - BD063Z08, alimentato a 5 volts, desunti da prove sperimentali. Si parte dalla tensione più bassa e la si aumenta sino a valori "umani", lontani dalla soglia di distruzione. Alcuni motorini a 5 volts non si avviano nemmeno. Questo invece a 5 volts gira ad una velocità che a orecchio è compatibile con quella a cui viaggiava lo scanner, per cui... 5 volts come valore standard e non facciamoci venire altri dubbi.
Lo schema è facilmente ricostruibile seguendo le piste del PCB che ospita il motore. Il segnale che avvisa il processore che l'unità scanner è in movimento (ed in quale direzione) si basa su un doppio sensore a fototransistor e led ad infrarossi. Una rotellina forata, solidale all'asse del motore, interrompe il fascio di luce e alternativamente manda in conduzione/interdizione i fototransistors per produrre in uscita un segnale analogico che viene successivamente campionato e trattato dal microprocessore. Le resistenze inserite nel circuito ci facilitano l'esercizio di calcolo delle correnti e dei valori. La corrente del led ad infrarosso è di 50mA (compatibile con i valori di massima applicabili a questa tipologia di sensore). La corrente di collettore calcolata grossolanamente con la resistenza di emettitore da 1kohm, dovrebbe essere di 10 mA, anche questa compatibile con la stragrande maggioranza degli opto-interruttori a forcella (max value 30/40mA). Per cui....5 volts è l'alimentazione corretta. 
Per visualizzare il segnale in uscita, prelevato dall'emettitore dei fototransistor, se non si dispone di un oscilloscopio, è sufficiente collegare un led rosso con una resistenza in serie da 220ohm (5% 1/4Watt, chi non ce l'ha nel cassetto?), in grado di limitare la corrente a circa 15mA e non rischiare di bruciare i fototransistor. Il segnale prelevato all'emettitore del fototransistor dovrebbe attestarsi sui 3,16 volts, compatibili per la maggior parte dei processori attualmente in uso (Arduino, Raspberry, ecc...). Ok, quasi ci siamo. La tabella del segnale in uscita, prelevato dai due collettori, per una rotazione in senso orario è la seguente:
00
10
11
01
mentre nel senso contrario 
00
01
11
10
Con una semplice routine software (esercizio e compitino da fare a casa) non è difficilissimo interpretare il senso di rotazione del'asse del motorino ed agire di conseguenza. 
Bene, manca la piedinatura del connettore che può essere rimosso o lasciato al suo posto se si è conservato il cavo flessibile piatto. Se si guarda il PCB lato saldature tenendo a destra il connettore, numerando dall'alto verso il basso i punti di saldatura avremo la seguente disposizione:
1 Motore
2 Motore
3 Massa
4 Alimentazione +5 volts (anodo e collettore comune)
5 segnale 1
6 segnale 2
Seguendo le piste è possibile ricavare la piedinatura del sensore a forcella entro cui gira l'interruttore ottico del fascio di luce infrarossa.
Ok, ci siamo. Abbiamo tutti gli elementi per riutilizzare l'oggetto o per modificarlo a piacere. Come? Un idea strampalata può essere quella di un retrofit della stampante, sostituendo la mother board con processore, interfaccia e firmware proprietario e realizzare una stampante open source. Magari, finalmente, potrebbe essere possibile stampare anche con un colore assente senza dover sostituire tutta la cartuccia. O divertirsi a scannerizzare solo con la luce blu o verde (utile per scovare o evidenziare particolari colori, tipo i ghost dot che marchiano le nostre stampe a nostra insaputa) o magari inserendo dei led UV in aggiunta o in sostituzione ai tre già presenti nel CIS (già analizzato nei post precedenti). Esperimenti in corso, ci sarà da divertirsi. Alla prossima.

P.S. Piove governo ladro. Ripeto: Piove governo ladro.


giovedì 31 marzo 2016

Riparare, non buttare!

E' dall'apertura di questo diario che sostengo caparbiamente la politica del fai da te, della riparazione spinta, del retrofit, del ri-uso e nei casi peggiori della ricostruzione di parti rotte. Le motivazioni sono facilmente comprensibili anche ai più resistenti. 
Parto da questo articolo http://www.repubblica.it/ambiente/2016/03/29/news/riciclo_lobby_riparatori-136500057/#gallery-slider=136502080 per alcuni ragionamenti. 

Se sostenere il diritto di disporre di oggetti regolarmente acquistati è scarosanto, lo è altrettanto opporsi a qualsiasi legislazione, impedimento o politica che vorrebbe impedircelo. 

Per queste motivazioni, negli stati uniti, è nata la Repair Association https://repair.org/ alla quale si può aderire a partire da 50 dollari. E' in realtà una associazione nata dal sito https://www.ifixit.com/ comunità di riparazione on-line che però vende anche attrezzature e strumenti pubblicizzati all'interno dei tutorial liberamente accessibili (nulla con non si possa fare anche senza).
Ma nel vostro paese... c'è qualcosa di simile? No. La situazione è ben diversa. Da voi è ancora molto forte il suggerimento "conviene buttare e comprare nuovo". Ho sempre rifiutato un suggerimento simile (anche qui dove vivo), dimostrandone la falsità e soprattutto chi sia in realtà il fruitore della "convenienza" suggerita. 

C'è da dire che, complice l'ignoranza diffusa, la superficialità indotta, il bisogno percepito, l'acquiescenza di consumatori proni alle frottole e l'avidità di certi commercianti illuminati dal profitto spinto, il tutto condito da subdole politiche che tendono a metterci l'uno contro l'altro (riuscendoci benissimo), l'ostacolo maggiore che impedisce una solida costruzione di una rete di persone consapevoli, disposte a difendere apertamente un diritto indiscutibile e non mediabile, è rappresentato dall'ignoranza, dalla pigrizia, dall'invidia, comunque da tutta una serie di elementi che non possono essere certo annoverati fra le virtù. 

In un paese popolato in maggioranza da unani schifosi, per dimostrare quello che sostengo, coloro i quali decidono di riparare sono additati ed etichettati come hacker (per alcuni un indice di criminalità), pirati, smanettoni, cantinari, gente pericolosa che è contro il "progresso" (di cosa?), elementi pericolosi per l'economia (di chi?). 

E' facile intuire chi sia il responsabile di diffondere tali epiteti... chi ha interesse a sostenere il consumo spinto, dai produttori ai commercianti sino alla fine del ciclo dove troviamo solo discariche ed inceneritori, per non parlare di quelli che trattano le materie prime. 

Il processo di acquisto, uso e fine vita del prodotto è solo una piccola parte del ciclo di vita di un oggetto. Prima e dopo ci sono una serie di processi che a ben vedere sono dannosissimi per tutti noi ma di cui si parla poco e che solitamente vengono ignorati dai più. 

Diversamente, se si affronta l'argomento, la macchina del fango riparte e si viene etichettati come sognatori, utopisti, ecologisti, attivisti, antagonisti (anche a queste parole si tende a dare una connotazione negativa) o peggio terroristi o ecoterroristi. Sembra che avere idee diverse dalla massa provochi delle reazioni incontrollate da parte di chi non si sa di preciso, ma che riesce sempre a far sentire la sua voce sopra tutte le altre, inducendo timori e paure irrazionali... ma efficaci. 

Ed ecco che allora ci viene in mente una domanda... riuscirete mai nel vostro paese a creare un associazione di riparatori?, una lobby pulita (si lo so, è un ossimoro) che abbia l'obiettivo di poter esercitare un diritto? non credo, a meno che sottostante ad essa non ci sia l'interesse politco ed economico degli stessi che spingono i consumi inconsapevoli. Secondo me non avete scampo. 

Ma una soluzione c'è?? Forse si. Smettiamola di ragionare in termini numerici, di associazioni, di gruppi sui social, di raccolte firme o di soldi (oops... crowdfunding fa più figo), di partiti, di qualsiasi cosa che puzza tanto da gruppo di pecore che si sentono sole ed isolate alla ricerca di un leader o di un guru a cui votarsi come guida spirituale. 

Iniziamo a rimboccarci le maniche ed inziamo a FARE! senza nessuno che comandi, diriga, coordini. Ognuno di noi è un essere pensante (lo so non è proprio vero). Il resto viene da sè e lo dimostrano recenti studi (senza fonte, andarevela a cercare) che sostengono come l'evoluzione è frutto della cooperazione e non della competizione. E non è necessario saper navigare nella darknet per trovare le istruzioni, gli schemi, i tutorial (ovvero la pappa pronta per i pigri), bastano un pò di volontà, conoscenze, senso pratico, intelligenza... non è una cosa da tutti ma la selezione naturale farà il resto, ne resteranno soltanto pochi. Ciao imbecilli. 

P.s. le orecchie, gli occhi e le mani sono il doppio delle bocche. Ripeto: le orecchie, gli occhi e le mani sono il doppio delle bocche.

venerdì 10 aprile 2015

NE555P Monostabile (Timer)

Un apparecchiatura "elettromedicale" (il virgolettato è d'obbligo) dismessa, è una preziosa fonte di cose da recuperare. Una cessata attività di un poliambulatorio mi ha lasciato in eredità solo le apparecchiature guaste, irrecuperabili, da rottamare. Un laser ad infrarossi per la cura dei dolori artritici o post-trauma... l'unico problema era un diodo spezzato in prossimità di un selettore allentato. Il medico a furia di smanettare la manopola, girando oltre il necessario, ha torto i fili all'interno con conseguente rottura meccanica. Di riparare...nemmeno a parlarne in quanto non so che farmene di un apparecchio del genere (almeno il laser fosse stato visibile...), anche se mi alletta molto la soluzione adottata per il montaggio del diodo laser...un tubo metallico con pulsantino.  Smontare e recuperare? certo che sì.
Non posso nascondere il mio stupore quando l'ho aperta. Collegamenti con fili volanti, basette preforate... da un apparecchio per la terapia del dolore con laser ad infrarosso mi sarei aspettato di più. Impossibile risalire al fornitore (ad oggi scomparso, i suppose, dal mercato). Sicuramente un prodotto artigianale, risalente alla fine degli anni 70 od 80 e sicuramente fuori norma, non con quelle attuali che hanno solo complicato la vita ai produttori e lievitato il loro costo oltre il tollerabile.  La "fortuna" sta nel fatto che per fortuna in questo apparecchio i circuiti sono stati realizzati modularmente, su basette artigianali separate l'una dall'altra. La prima che ho rimesso in funzione è equipaggiata con un NE555P,.. la più semplice... dopo aver ricostruito il circuito a mano seguendo le piste, sono riuscito a capire come collegare i morsetti con i componenti mancanti. Risultato? un temporizzatore in configurazione monostabile. Ton per un certo tempo e poi off, con reset manuale.
Due pulsanti, uno di start ed uno di reset, più un potenziometro che ho stabilito da 300K per assicurarmi tempi lunghi nella temporizzazione. Ho recuperato due microswitch provenienti da chissà dove più un vecchio potenziometro (minimo ha trent'anni) che non sembra ossidato (funziona). 
Il tempo di accensione si calcola con la formula Ton=1,1 RC dove la resistenza è quella collegata al piedino Discharge (7) e C è il condensatore collegato al piedino Thresold (6). Nulla vieta di inserire un potenziometro da 1Mohm per tempi biblici, calcolabili dalla tabella presente nel datasheet dell'integrato (entrambi facilmente reperibili in rete). 
Un piccolo relè a 12 volts (privo di transistor di pilotaggio in quanto assorbe meno dei 200mA che il 555 è in grado di supportare) mi pilota due deviatori, utili per accendere un paio di lampade o in parallelo per carichi più importanti, o magari per la solita luce scale che restando accesa si mangia silentemente i miei risparmi. Possibili modifiche? sicuramente si... un sensore PIR per avviare la temporizzazione, una fotocellula per impedire che la luce si accenda di giorno o quando l'illuminazione è già sufficiente, un reset comandato da remoto...unico limite...la mancanza di fantasia. Ah, la resistenza in serie al led, da 10K a mio avviso, se so volesse portate il Led on su un pannello frontale, andrebbe diminuita alprossimo valore inferiore disponibile per renderlo un pò più luminoso.
Ora devo solo trovare un contenitore adeguato... mi sa che dovrò tornare a frugare nel garbage, qualcosa salterà fuori sicuramente. Lo schema? davvero? in rete si trovano un infinità di progetti già pronti, perchè replicarli? solo per qualche click in più? naaaa. Alla prossima. 

P.S. il bacchetto è di legno. Ripeto: il bacchetto è di legno. 

martedì 5 agosto 2014

Lampadina a LED ST4-041030 (parte 2)

Come fare per aprire la lampadina in esame l'abbiamo già trattato, nulla di più semplice. Ora vediamo di approfondire la conoscenza per verificare se la si può riparare. L'analisi del PCB di pilotaggio dei tre led di illuminazione nella lampadina Microwatt ST4-041030 quindi prosegue. Dopo una googlata, ho reperito il datasheet dell'unico circuito integrato presente Si tratta di un SM7523B, un ASIC (Application specific integrated circuit) in package SOP8 classificato come "Constant primary Control power switch". 
Purtroppo il datasheet è in cinese, con quegli sgiribizzi strani. Google Translate, nella traduzione del pdf, non aiuta molto. Va infatti a capire cosa significa "Circuito interno tranciatura all'avanguardia"..., o cosa sono i "Piedi penzoloni" che ad intuito credo siano i pin NC non collegati, o ancora "Scolare ingresso interruttore di alimentazione lato", "Terreno chip". Il produttore (Shenzen Sunmoon Microelectronics co.ltd) non prevede il rilascio delle specifiche con i caratteri occidentali, almeno non sono riuscito a trovarne uno. Per cui occorre andare un pò a casaccio, a intuito. La lampadina, alimentata a 12 volts (300 mA), emette una luce fioca che dopo alcune decine di secondi si affievolisce lentamente. Il sintomo induce a pensare che il problema sia di qualche condensatore...ce ne sono pochissimi per cui controllarli non deve essere poi nulla di trascendentale.
Analizzando un pò a fondo il PCB si scopre che la realizzazione non è molto dissimle dal circuito di esempio pubblicato nel datasheet, nemmeno per i valori dei componenti che sono in gran parte quelli suggeriti dal produttore, ed esclusione di quelli che compongono il partitore calcolato in funzione della corrente di assorbimento dei tre led messi in serie. Con un tester, il ponte di ingresso sembra a posto (un MB10S in package SOIC-4 da 0.5 A) ed anche i condensatori non sembrano evidenziare particolari problemi. Non vorrei che ci fosse un problema nell'integrato ma in mancanza di un oscilloscopio, non è che posso poi fare più di tanto. Al limite provo ad ordinare un paio di campioni (sperando nel buon cuore dei cinesi) e sostituirlo...la vedo mooolto lunga.
Nel frattempo procedo, per scrupolo e per diletto, con distaccare i singoli componenti e provarli con un tester a microprocessore per verificare che i valori non siano andati fuori scala. Più di così... dovessi trovarne qualcuno di "sballato" il casino sarà trovare il pezzo di ricambio. I componenti SMT sono venduti a bobine e non credo li forniscano sfusi, tantomeno a singoli pezzi. Spero in qualche PCB di recupero...spero...ad ogni modo la buona notizia è che i tre led sono integri. Alla peggio li piloto con un PWM per realizzare l'illuminazione di qualche cassetto o dell'interno dell'armadio (già provvisto di lucette di natale a led che fanno il loro dovere egregiamente come già spiegato in un precedente post). 
Conclusioni: la riparazione di queste lampadine, questo modello di questa marca, è tecnicamente possibile se il guasto coinvolge il ponte di ingresso o i condensatori del filtro EMI in ingresso. Più difficile (ma escluderei la parola impossibile) ed economicamente poco conveniente se si riesce a trovare il componente di ricambio in tecnologia SMT (per chi ha un laboratori ben fornito ed attrezzato la difficoltà scende notevolmente). Portare la lampadina presso un lab di elettronica? Io non ci proverei per due motivi... il primo i costi di intervento e riparazione che superano di gran lunga il valore del pezzo, il secondo perchè sono stanchissimo di sentirmi ripetere "conviene buttare"... NO, buttare non conviene mai se si considerano le tonnellate di materiali sprecati che fanno questa brutta fine, i costi di smaltimento, l'inquinamento correlato... ingegneri del piffero, imparate a fare i conti, da voi me lo aspetterei. Ciao pirletti. 

P.S. la marmotta non mangia le ghiande. Ripeto: la marmotta non mangia le ghiande.

P.P.S. AGGIORNAMENTO: parrebbe l'induttanza L1 il colpevole (anche se trovo strana la cosa). Il problema è che non na ho una di ricambio...

lunedì 4 agosto 2014

Lampadina a LED ST4-041030 (parte 1)

In occasione del giretto in discarica (in bici of course!) per scaricare l'erba falciata del prato e caricare un pò di Compost (agratis) per l'orto, mi imbatto nel contenitore dei rifuti RAEE per le lampadine ad incandescenza. Fra i tubi al neon compare una lampadina a led, l'unica, sola soletta e l'idea di recuprare almeno i led mi spinge a prenderla e portarla a casa, incurante dell'incalcolabile danno provocato alla partecipata che presidia l'area con ben 4 persone ed un impianto di telecamere da far invidia a fort knox.
La lampadina riporta nel suo corpo terminale le seguenti sigle:
MICROWATT
ST4-041030
4w 3000.K 34mA38D
220/240V - 50-60Hz
Del perchè si sia guastata meritando la rottamazione è materia di indagine. Sono seriamente intenzionato ad aprirla per soddisfare l'insaziabile curiosità e voglia di imparare qualcosa di nuovo.
Da una rapida googlata scopro che si tratta di una SPOT TRILED con attacco GU10 serie ST4 da 4 watt equivalenti ad una lampadina ad incandescenza da 40 watt, garantita per una durata media di 25.000 ore (non un minuto di più suppongo, giusto per rilanciare i consumi dai).  
Il colore della luce è indicato a 3000K con un angolo di apertura del fascio luminoso di 38 gradi (che spiega la sigla stampigliata). Aggiungiamo il codice EAN (a barre) 8111041030009 e la classe energetica A++
OK, dati tecnici a parte, voglio capire come aprirla senza rompere troppo l'involucro, ipotizzando che il progettista, il solito "ingegniere" abbia fatto di tutto per impedirne l'apertura... misteri dei meandri mentali di qualche mente bacata che pensa alla nostra "sicurezza"... lasciamo a casa le polemiche per una volta.
Una cosa mi insospettisce immediatamente. Nella parte dell'innesto GU10 si notano due forellini, uno nero ed uno blu... che saranno? ed il piolino centrale fra i due? una specie di spina ad incastro per tenere fermo l'interno? boh, andiamo avanti. L'unico punto aggredibile sembra il filtro anteriore che mostra una specie di incavo in un punto della circonferenza... o forse è un punto di collante, non si capisce bene....in trasparenza si notano anche tre piolini di fissaggio...la vedo dura senza rompere... proviamo a fare leva lì per vedere se si apre. La plastica bianca è molto dura e si capisce anche perchè... deve resistere a temperature abbastanza alte e non deve essere certo di quella che si ammorbidisce col calore.
Dopo una serie di tentativi, decido di tagliare. Tanto, per un nuovo involucro non ho bisogno del sottovuoto come le lampadine ad incandescenza, ed un barattolo in vetro dello yogurt credo si possa adattare senza troppi sforzi (almeno così lo riutilizziamo e non "consumiamo" plastica). 
Dopo un accurata ispezione visiva, la scelta ricade nel forare i tre piolini di fissaggio. Punta dello stesso diamtero e via. La plastica è più tenera del previsto ed il vetrino (che in realà è plastichetta), viene via facendo leva con un cacciavite sottile. E' costruito con tre lenti disposte a trifoglio e si scopre che i piolini in realtà erano incollati alla basetta di supporto ai led che si mostra nell'incavo interno. La basetta led (Sigla YX-LED-3C1B) è fissata con tre viti autofilettanti, tolte le quali la lampadina si apre senza difficoltà...troppo facile. Sfatiamo immediatamente le ipotesi iniziali... il piolino centrale, non esiste, i forellini colorati non sono altro che due forellini e la loro differenza di colore è dovuta ai componenti interni sottostanti. 
Il circuito stampato di pilotaggio dei led racchiuso nel corpo cilindrico della lampadina, protetto con una guaina isolate termorestringente, contiene da un lato un paio di condensatori, un induttanza, un soppressore di sovratensioni, mentre l'altro lato una serie di componenti SMT al cui ispezione è in corso. Alla prossima. 

P.S. la gallina ha le uova. Ripeto: la gallina ha le uova. 

lunedì 5 agosto 2013

Sfidame se osi!

Questa volta è toccato ad un paio di pupazzi parlanti rischiare di finire in una discarica. Quei pupazzi che fanno parte del merchandaising dei cartoni animati e che i bambini impazziscono a sentir ripetere le frasi clou. Il primo pupazzo è il Gatto con gli Stivali di Shrek the Third, riprodotto con l'espressione tenera con gli occhioni sgranati. Si preme il pancino e lo si sente ripetere "Hahahaaaa... Sfidami se osi, ha!!", "Hei, ma qui non doveva esserci una fiesta?","Engarde!!" "FFFFF...Odio il lunedì" (frasi poco attinenti con l'espressione del gattino).
4 frasi solamente? vabbè scopriamo il motivo e soprattutto se si può cambiare il repertorio e far dire all'apparecchio quello che vogliamo noi. Si potrebbe sfruttare il pulsante da mettere alla porta di casa e sentire "Hei, c'è un'unano alla porta!" o altre sentenze limitate solo dalla fantasia dell'autore.
Il pupazzo va aperto nella stessa apertura in cui è stato infilato l'hardware, sulla schiena. All'interno una quantità industriale di lana sintetica (sulla cui origine plastica non voglio indagare, dicono 100% poliestere......meglio usare i guanti), l'apparecchietto parlante ed un sacchettino pieno delle palline essiccanti (utile per tenere asciutti i cassetti dei calzini e così un pezzo lo recuperiamo).
L'aggeggio parlante è etichettato con dei caratteri "cinesi" o taiwanesi, non lo so di preciso ma sempre asiatici sono e ne svelano l'origine (c'erano dubbi?). La Dre*mworks Animations SKG ordina, la G*sii importa (SS131GS-UK) per la Gi*chi Pr*ziosi di Milano con tanto di marchio CE, al cinesino etichettato MADE IN CHINA un "pugno di liso" e noi occidentali siamo con la coscienza a posto
La scatolina è composta da due parti, il contenitore ed il coperchio che fa da pulsante di attivazione, agganciato su due molle che agiscono per farlo ritornare al suo posto. 4 dentini sui lati lo tengono a fine corsa. Una lieve pressione sui dentini ed il coperchio si toglie per svelare l'interno che non riserva poi molte sorprese. Un pulsantino "artigianale", batterie, un altoparlante, un paio di condensatori ed una resistenza (trhu hole!) con il solito chip vocale affogato nella colla nera, dura come il marmo a difendere un segreto industriale gelosamente custodito dalle dinastie ming di ingegneri elettronici che sarebbero disposti a fare harakiri pur di non svelare cosa c'è sotto. Forse questi chip nascono già programmati di fabbrica (credo ne ordinino a tonnellate per ogni lingua del mondo) o forse sono programmabili tramite una porta seriale che però non sembra predisposta nel PCB per cui il chip è programmato sul banco test e non on-board. Altri particolari non ce ne sono per capire il tipo di chip e determinare come cambiare i files sonori all'interno. Occorrerà indagare, googlare e tentare, una bella sfida. 
Alla peggio recupero le batterie a bottone ed il mini altoparlante. Ora tocca alla scimmia, spero di essere più fortunato. Alla prossima.

P.S. il gatto è in padella. Ripeto: il gatto è in padella. 

sabato 19 gennaio 2013

Synaptic T1002D touch pad

Dopo l'analisi del fratello maggiore, il T1004, ecco il piccino T1002D per il quale non ho ancora trovato la piedinatura dei segnali. Ne ho più di uno ed appena ho un pò di tempo libero di sicuro proverò a sperimentare qualche aplicazione pratica.
Il chip dedicato (ASIC) della Synaptic è siglato 

  • T1002 D0096 

mentre una serigrafia nel Cs riporta 

  • Model TM1002M1 - 
  • PWB920-000135 REV.C.  
  • FE101C 

Un eichetta cartacea, stavolta rimasta integra nello smontaggio riporta le seguenti sigle - 

  • TM1202MPU-156-4 
  • IB749NO84-034-04A

il T1002 funziona accoppiato ad un processore, il noto PIC 16C58A-04/S0 della Microchip... non dovrebbe essere difficile quindi decodificare i segnali e capire come funziona il touchpad (sempre sul noto protocollo PS/2. Il valore di mercato di questo componente si aggira attorno ai 10 € a cui vanno aggiunti eventuali costi di manodopera in quanto per sostituirlo occorre ridurre il portatile che li alloggia ai minimi termini. 
Ok, anche questo nel contenitore delle cose da fare, che oggi purtroppo ho delle priorità per le quali sto cercando una scusa futile per non assumermi le mie responsabilità. Alla prossima.

P.S. l'affare rosso va nel contenitore nero. Ripeto: l'affare rosso va nel contenitore nero. 



domenica 13 gennaio 2013

Synaptic T1004 touch pad

Nel proseguire l'opera di rottamazione dell'hardware obsoleto (mi viene da piangere), mi diletto nell'allenarmi a smontare cose e studiarne il funzionamento. Da un vecchio Apple Powerbook Mac G3 stavolta mi incuriosisce il touch pad. Mi hanno sempre affascinato i touchpad e sto pensando di riutilizzarli. Per me non sono dei mouse ma dei trasduttori di contatto e pressione. Non molti sanno che nei registri di questi trasduttori c'è l'informazione che indica la quantità di pressione usata nell'utilizzo o l'indicazione che informa se si sta usando un dito piccolo o grande, il palmo della mano o una penna. Interessante. In rete si trovano molte applicazioni di questi trasduttori, dall'usarli come semplici mouse (basta collegare i fili dato che al loro interno c'è un chip ASIC specifico che traduce i segnali nel protocollo PS/2 ed in commercio si trovano adattatori PS/2 - USB), al dimming di un led tramite un arduino o un raspberry PI. Le applicazioni possono essere le più disparate, ovunque si voglia comandare qualcosa con il tocco tramite un pò di hardware e del software, come ad esempio:

  • aprire una porta con un "doppio click" e chiuderla a chiave con tre o più. . 
  • accendere una lampadina di una stanza e variarne la luminosità (o il colore)
  • muovere una telecamera di sorveglianza (pan e tilt su 2 assi) più lo zoom a due dita come nei tablet
  • pilotare un rover a distanza per esplorare gli ambienti "ostili"
  • ecc...

Il chip è l'arcinoto T1004 della Synaptic,  fratello minore del più evoluto T1006, per i quali sembra non esista il datasheet ma solo il lavoro di qualche intrepido hacker buono dotato di pazienza. La cosa che lascia dubbi sono i quesiti dei meno esperti ai quali si rammenta sempre di usare cautela e qualsiasi cosa fatta è a proprio rischio e pericolo. Il chip riporta delle sigle diverse che non dipendono dal modello di computer su cui sono montati. Dopo la sigla T1004 compare un numero a 4 cifre e sotto un altro, alfanumerico (es. 0351 FHGC1). Quest'ultimi due sono sigle del produttore che con molta probabilità indicano il lotto e la data di produzione. Nel nostro caso la sigla è T1004 0026 E4X46 che andrebbe accompagnata da un altra sigla che indica la famiglia dell'hardware nel suo insieme, scitta su un etichetta che nel mio caso è rimasta incollata su una protezione di plastica nella parte stampata e non risulta leggibile (qualcosa tipo TM41PUD ecc.ecc...). Per contare il numero del piedino del chip, basta identificare la tacca nel corpo plastico che indica il piedino numero 1 e contare i successivi procedendo in senso antiorario. Per trovare la corrispondenza con il connettore, si usa un tester e si "suonano" i collegamenti. Come si può notare, la piste che escono da molti piedini del chip passano per dei "test point" numerati (contatti che il produttore usa per testare il funzionamento del pezzo in produzione). Se non si riesce a saldare dei fili sul connettore a pettine ci si può attaccare direttamente sulle piazzole dorate (sarà brutto ed antiestetico ma è più facile e funziona uguale perfettamente. 
Nella foto ho indicato i piedini del chip con i segnali che servono. Da qui in poi l'unico limite è la fantasia. Alla prossima.

P.S. la canna fumaria è sporca. ripeto: la canna fumaria è sporca. 

sabato 30 giugno 2012

Honeywell VK4105C autopsy

Ieri è venuto l'idraulico che, dopo vari armeggiamenti e riti sciamanici su una caldaia che perdeva acqua ed andava in blocco, termina il lavoro con un pezzo in mano, imputato del malfunzionamento. Un elettrovalvola del gas... cosa c'entri con la perdita d'acqua dio solo lo sa. La sostituzione è "gratis" in attesa che venga a breve installata la caldaia nuova, elettrica stavolta, che sicuramente con quello che ci guadagna non si sta certo a formalizzare per il lavoro visto che poi il ricambio se lo porta via assieme ai preziosi tubi di rame della caldaia vecchia e di tutti i ricambi usati ancora funzionanti. Mi faccio consegnare il pezzo "guasto", per mera curiosità ovviamente, mica per sfiducia ovviamente. Voglio capire e vedere cosa c'è dentro. Si tratta di un elettrovalvola per gas marca Honeywell  VK4105C con doppio solenoide a 220V (costo stimato dai 150 ai 200 euro!).
L'apertura è facilitata dalla presenza di viti Torx. L'interno non svela poi chissà quali sorprese. Un solenoide (quello più grosso) aziona un pistone a molla che apre o chiude il condotto di ingresso, su cui si trova una retina metallica per trattenere eventuali corpi estranei. Il secondo solenoide è la valvola di sicurezza comandata dalla centralina ad intervenire in caso di malfunzionamenti.  Il gas in entrata passa poi attraverso dei condotti ed attraverso delle membrane e delle guarnizioni di regolazione della pressione (tramite delle viti) fluisce verso l'uscita. Niente di particolarmente complicato ma se non c'è elettronica mi diverto poco. All'apparenza tutto sembra a posto e la sostituzione sembra più una scusa per vendere una nuova caldaia e durante la sostituzione imbonire commercialmente la cliente (un anziana signora che a conti fatti risparmia a prenderne una nuova che mantenere per anni questi scienziati dell'idraulica). 
L'unica parte delicata sembrerebbe essere la membrana di gomma ma all'ispezione è risultata perfetta e priva di segni di usura o rottura. Forse, spezzo una lancia in favore del tecnico, il solenoide presenta dei problemi di contatto a caldo per cui se lo si prova a freddo sembra funzionare. E vabbè. Ieri c'è stato l'aumento del gas in misura molto maggiore dell'aumento dell'elettricità e la nuova caldaia elettrica forse permetterà un risparmio maggiore. L'unico cruccio è il carico. Tra frigoriferi e congelatori, server, condizionatori, ventilatori, stufette elettriche per i vani isolati, lampadine varie ed elettrodomestici... mi sa che 3Kw non basteranno ma di chiedere l'aumento all'enel della potenza disponibile giammai.  Piuttosto rinuncio al congelatore e sfrutto la cantina per tenere al fresco la roba che non ha bisogno di temperature tipiche del frigo. Ragionandoci poi un pò mi sono chiesto: d'inverno che senso ha un frigorifero che posto in una stanza a 18-20 gradi raffredda l'aria calda quando la temperatura esterna è sicuramente inferiore o prossima allo zero? Mi sembra una tonteria, una sciocchezza e sicuramente uno spreco. Riscaldare la cucina e tenerci un elettrodomestico che raffredda l'aria calda quando fuori fa freddo... pensiamoci... siamo proprio dei deficienti. E' un pò come riscaldare l'acqua fredda per la lavatrice quando fuori ci sono 40 gradi o usare l'acqua potabile per lo sciacquone del WC. Geniale no? Alla prossima.

P.S. la marmellata è pronta ed i vasetti sterilizzati. Ripeto: la marmellata è pronta ed i vasetti sterilizzati.

sabato 4 febbraio 2012

Alimentatore switching TAD437E8E (parte 1 - reverse engineering)

Sto progettando un sistema per la videoconferenza e l'e-learning. Mi serve un auricolare senza filo per evitare l'impiccio di quelli che si avvolgono a molla. Devo avere il piano di lavoro completamente sgombro se voglio lavorare meglio. Quale scelta "migliore" che un auricolare bluetooth?? La scelta ricade su un modello preso tempo fa presso un bandito dell'informatica, uno di quelli che semina volantini cartacei promettendo cellulari a prezzi stracciati che però se si arriva primi all'apertura del negozio i 100 pezzi promessi sono già stati tutti venduti...a chi?? a nessuno, è una truffa ed il commerciante ci ride e scherza su come se nulla fosse...maledetto bastardo. Aspetta che il 117 lo chiamo io ed un controllo della guardia di finanza non te lo leva nessuno. Comunque, già che ero lì (la truffa ha funzionato) prendo due auricolari in svendita a 9 euro l'uno e li metto da parte, non si sa mai, possono diventare utili come ricetrasmittenti per il quadcopter in corso di progettazione. Oggi li riprendo in mano per l'uso e mi accorgo che un alimentatore da muro per caricare la battteria è morto. L'avrò usato sì e no un paio di volte. 
Ok, niente panico. Per aprirlo basta rimuovere l'etichetta con i dati di targa e svitare la vite con testa a croce in prossimità del cavetto in bassa tensione. Il circuito è talmente semplice e scarno che decido di tirarmi fuori lo schema ancor prima di farmi venire l'idea di andare a chiederlo al produttore cinese. Il metodo per il reverse engineering del circuito stampato lo abbiamo già visto nei post precedenti. Si sovrappongono due foto in trasparenza (una va speculata) lato componenti e lato piste di rame e con un pò di pazienza si ricostruisce lo schema. Poi si desumono con analisi visiva le caratteristiche e valori dei componenti ed il gioco è fatto. Con circuiti così semplici è abbastanza facile e serve come allenamento per quelli più complessi. 
Cosa sarà mai saltato in questo circuito? Un transistor, quattro diodi, un trasformatore, quattro condensatori e quattro resistenze.  Devo ancora vedere... non si notano bruciature ma mi basterà un quarto d'ora per capire cosa sia successo e non credo che i componenti siano difficili da reperire come parti di ricambio (li devo ancora ispezionare per bene). Lo do per riparato dai, non ci credo che sia da buttare, ma non mancherò di aggiornare questo post con lo schema ricostruito ed ulteriori informazioni. Vorrei tanto che anche gli altri imparassero a gettare di meno e ripararsi in casa le cose, giusto per acquisire la consapevolezza che questo pianeta ha un gran bisogno di "gente come noi" se vogliamo lasciarlo anche ai nostri eredi. Alla prossima. 

P.S. il tacchino è nel forno. Ripeto: il tacchino è nel forno. 

domenica 10 aprile 2011

CCD sensore di scansione a linee (parte 2)

C'è un "cinese" a cui devo un favore. Non è stato per nulla facile, ma alla fine ho trovato degli appunti, mai pubblicati in rete, su come tentare di far lavorare il sensore di immagini a contatto (Toshiba CIPS218CF600 - CIS Contact Image Sensor). Alcuni dati li avevo "indovinati" con dei ragionamenti logici, altri invece sono specifici. 

Procediamo con ordine partendo dalla piedinatura del connettore e poi vediamo i segnali da applicare. 
  1. OS Tensione analogica di uscita
  2. Mode (300/600dpi switch)
  3. GND
  4. VOD Power supply
  5. GND
  6. TR (impulso di start)
  7. M (clock)
  8. LEDCA (anodo comune dei tre led RGB)
  9. Led blu
  10. Led verde
  11. Led rosso
  12. GND
Alcune caratteristiche dei segnali da applicare:
La tensione di uscita OS è di 800 mV (tipico) e 1,2 - 1,5V al massimo in condizioni di saturazione non lineare. Il VO tipico è misurato su un foglio bianco riflettente dall'80 al 90% con corrente per ogni led a 20mA e tempo di esposizione di 5mS. In condizioni di nero, il VO è di 40mV.
La modalità 300-600 dpi si ottiene applicando rispettivamente tensione o massa al piedino 2. Se il piedino 2 è a massa la risoluzione selezionata è 600 dpi. Per controllare l'esposizione, basta applicare un PWM ai tre diodi RGB sui quali non dovrà scorrere una corrente superiore ai 20mA.
L'alimentazione tipica del CIS è di 5V (minimo 4,5V massimo 5,5V) con un consumo di 60mA (max 100mA).
La frequenza del clock e del data rate in uscita è minimo 0,1 Mhz e massimo 2.5Mhz. Raccomandato 1Mhz. con ampiezza pari alla tensione di alimentazione. 
Per la lettura di una linea occorre applicare un impulso di start ed aspettare 5 impulsi di clock, trascurare le letture dei successivi 17 impulsi  di clock e successivamente leggere OS ad ogni impulso di clock per 5152 volte (i pixel dell'immagine vera e propria). Quindi per una lettura di una singola riga, occorreranno 5173 impulsi di clock. Si converte la lettura analogica OS in un valore binario e quello sarà il valore dell'intensità luminosa riflessa. Questo ciclo andrà ripetuto tre volte, per la stessa linea di lettura, accendendo alternativamente i led rosso blu e verde se si effettua una scansione a colori. Se si desidera una lettura in BN allora si accendono tutti e tre i led contemporaneamente (luce "bianca") e si legge per un solo ciclo ad ogni riga di lettura. Poi si avanza di una riga e si legge la successiva. E' chiaro che lo step di avanzamento andrà sincronizzato. Si può quindi predisporre un motore passo passo (stepper) o usare un encoder per rilevare il movimento del sensore se si vuole trascinare il CIS a mano. Un encoder di un mouse potrebbe andare bene, anche se va verificata la sensibilità in funzione della necessità di spostamento del sensore rapportata alla risoluzione adottata.
Bene, ce n'è abbastanza per cominciare a fare degli esperimenti e sbattere la testa con un problema mai trattato ad oggi nella pratica. Per pilotare il CIS ho a disposizone la Fox board 832 GNU-linux embedded system. Per generare un clock di 1Mhz dovrò creare un modulo apposito e lavorare a livello di kernel space...mai fatto prima d'ora, per cui mi servirà parecchio tempo per studiare e procedere per tentativi (e non è detto che ci riesca). Al limite proverò alla frequenza più bassa a livello di user space, dove dovrei raggiungere una frequenza di circa 130Khz (sufficienti). Sebbene si trovi della documentazione, devo dire che questa è a volte inutile in quanto imprecisa e poco dettagliata, come questo mio diario del resto. Ma preferisco così, non mi è mai piaciuta la pappa pronta così come odio pigiare bottoni senza sapere cosa sto facendo e cosa succede.
Per la conversione da analogico a digitale, mi sa che dovrò tribolare un pò. Non ne ho "di recupero" per le mani (sembrano abbastanza rari nelle apparecchiature che tratto) e vige l'obbligo di recuperarli da qualche parte, giusto per onorare lo sciopero della spesa e dato che a casa mia vige da anni l'auto embargo volontario. Ne ho trovato un paio in una scheda di un vecchissimo hard disk ma la tensione di alimentazione è a 12 volts e mi sa che è troppo "lento". Pensavo anche di usare un convertitore AD preso da una mother board di un paio di PC. Sono i chip codec audio (AC97) ma credo che siano troppo lenti anche questi in quanto progettati per le frequenze audio e noi siamo un pò oltre la gamma delle frequenze udibili. Vedrò cosa inventarmi, devo indagare. Un alternativa (un ripiego) potrebbe essere la seguente. Chissenenfrega di voler ricostruire uno scanner professionale. Se applico il segnale analogico (opportunamente amplificato) direttamente su una porta logica di input (3,3volts tolerant), quest'ultima interpreterà il valore binario in base alle soglie dichiarate nel datasheet. O zero o uno, o bianco o nero e basta. In caso di uso come sensore lineare generico potrebbe andare bene. Immaginiamo, per assurdo, un sensore che mi deve dire a che livello è posizionata una tapparella, oppure per indicare i gradi di apertura di un varco (un cancello ad esempio), o il posizionamento di un carrello o, ancora, il livello di un liquido con precisione "millimetrica"... in questi casi mi basta lo zero o l'uno ed i toni di grigio che vadano a farsi f*ttere, tanto alla fine quelli che se ne stanno un pò di quà ed un pò di là non mi sono mai piaciuti tanto, maledetti opportunisti. Alla prossima.

P.S. La gallina ha fatto l'uovo nero. Ripeto: La gallina ha fatto l'uovo nero.